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giovedì 15 dicembre 2011

Ah, la mamma

-...E quindi mi confermi che LUI era esattamente così?
- Proprio così. Due gocce d'acqua. Del resto, è suo padre, sangue del suo sangue.
- Ahà!! Finalmente è tutto chiaro. Grazie, a presto.
- Ciao.
Con un ghigno malefico riabbasso la cornetta. Mi sento improvvisamente Sherlock Holmes di fronte alla soluzione di un caso. La chiacchierata con la tua nonna paterna ha dato i suoi frutti. Ecco chi è, il "colpevole genetico" - già fortemente indiziato -: tuo padre!
Ma per spiegare il fenomeno dell'attaccamento morboso alla propria madre voglio portarti un esempio linguistico: gli inglesi usano un buffo idioma per designare la categoria dei bambini "mammoni":
"he-she's tied to mother's apron strings ("lacci del grembiule della mamma")", ovvero il nostro "è sempre attaccato alle gonnelle della mamma".
Niente di più vero. Io non indosso la gonna, né il grembiule, ma riesci ugualmente ad incollarti ai miei leggings e ad abbracciare forte i miei stivali con aria supplichevole, quasi a dirmi "Non andare, non lasciarmi sola, non fare come babbo che mi abbandona continuamente!".
Povero babbo, se avesse le ali volerebbe ogni giorno fin qua per farti compagnia, ma tu sei ancora troppo piccola per capirlo e quindi credi che parta perché VUOLE, non perché DEVE.
Il tuo fortissimo attaccamento nei miei confronti mi costringe a portarti sempre con me, a non voltare mai l'angolo senza averti prima presa in braccio. Bellissimo, sì, ma anche molto faticoso. 
Forse è una fase della tua vita legata alla paura dell'abbandono, sulle riviste psicologi infantili e puericultrici dicono che basta un oggetto detto "di transizione" per calmare un bambino, ma neppure il più bel pupazzo o il più morbido orsacchiotto riescono a placare la tua "fame" di mamma, e io devo esserci. Sempre.

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